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La crisi del sistema educativo. “Una tragedia umanitaria” secondo il segretario del COSATU

Johannesburg. Secondo il segretario generale della confederazione sindacale sudafricana, Zwellinzima Vavi, la crisi del sistema educativo sudafricano ammonta a una “tragedia umanitaria”. Vavi ha aperto così su una nota di disperazione, il proprio intervento al congresso del sindacato dei docenti SADTU, lo scorso 28 settembre. Il sindacato di categoria, che nel giro di pochi giorni celebrerà il suo 21esimo compleanno, è nel bene e nel male, al centro del dibattito politico attuale nel paese. Tra circa un mese, infatti, i 18enni sudafricani saranno impegnati nei loro esami di maturità – che qui si chiamano Matric – e che più che essere un impegno individuale sono una vera e propria prova per il paese nel suo intero. Tutti si preoccupano dei dati, di quanti passeranno, e potranno avere accesso all’università, e di quanti invece rimarranno al palo. I maggiori quotidiani pubblicano da mesi ormai una serie di inserti per facilitare il lavoro degli studenti, e i sindacati tendono a mettere nel cassetto qualunque rimostranza di tipo contrattuale.

Le ragazze e i ragazzi impegnati negli esami di maturità sono però una sorta di minoranza privilegiata. I dati riportati da Vavi nel suo discorso lo dimostrano. Se infatti nel 1998 circa un milione e mezzo di bambini hanno iniziato il loro percorso scolastico, solo mezzo milione di essi è arrivato al fatidico anno della maturità, nel 2010, e ha sostenuto l’esame. Di questo mezzo milione circa 300mila hanno superato le prove e solo circa 100mila hanno riportato voti che consentono l’ingresso all’università.

Che ne è stato dell’altro milione di diciottenni del 2010? Molti hanno lasciato la scuola, altri hanno perso uno o due anni e finiranno, forse, quest’anno o nel 2012. Molte ragazze avranno lasciato la scuola per fare le mamme a tempo pieno – il dato delle gravidanze delle minorenni è infatti impressionante – o per curare i propri genitori malati di AIDS. A prescindere dalle differenze individuali, comunque, il dato di fatto complessivo è che la scuola pubblica non è riuscita a fare niente per questo milione di diciottenni. Non è riuscita a trattenerli, a dare loro la possibilità di una vita migliore – anche se pare ingiusto attribuire alla scuola colpe che sono principalmente del settore produttivo che non riesce ad assorbire la forza lavoro del paese – o quantomeno la possibilità di interpretare questa vita in maniera migliore. Sempre secondo i dati riportati da Vavi, infatti, la maggior parte dei responsabili di violenze private, quali gli stupri di donne e bambini “si trovano nei ranghi di coloro ai quali è stata rubata la possibilità di uno sviluppo individuale” e che non hanno mai finito la scuola.

Non stupisce quindi se il COSATU, con il suo segretario in testa, ha fatto della campagna per una “educazione pubblica di qualità e gratuita” una delle tredici azioni di punta nelle quali tutto il sindacato, non solo quello di categoria, è impegnato. Una missione che Vavi non esita a definire “rivoluzionaria” e per descrivere la quale scomoda niente meno che Franz Fanon –  sociologo-rivoluzionario, autore de I dannati della terra – il quale ha detto:

ogni generazione deve, nell’uscire da una relativa oscurità, scoprire la propria missione, adempierla o tradirla.

Per Vavi la missione della presente generazione di docenti è quella di scoprire il valore rivoluzionario dell’educazione. Per aiutare la sua audience in questa scoperta Vavi ricorda esempi di insegnanti che durante il regime di apartheid sfidarono apertamente il sistema di educazione segregato aprendo scuole popolari e insegnando il rispetto per se stessi e per gli altri alla popolazione nera, alla quale invece gli oppressori tentavano di inculcare l’idea della propria inferiorità e, conseguentemente, un atteggiamento di deferenza verso i bianchi.

Se anche sulla carta questo sistema non è più in auge, lo è ancora, come molti atri aspetti della società sudafricana, nei fatti. Nei fatti la maggior parte dei bambini neri poveri vanno a studiare in scuole di fango a chilometri e chilometri dalle proprie case. Nei fatti le ragazze e i ragazzi neri non hanno accesso a biblioteche e laboratori (che mancano nel 70 percento delle istituzioni scolastiche), mentre i figli delle classi agiate, quasi tutti bianchi, vanno nelle migliori scuole private che non hanno niente da invidiare alle scuole private del mondo occidentale. Una tale condizione non può che ripercuotersi sui risultati scolastici. Un dato spiega tutto: il 70 percento di quei 300mila di studenti e studentesse che passano l’esame di maturità vengono dalle scuole private dei bianchi o dalle Model C Schools – le scuole modello multirazziali – che in tutto rappresentano solo l’11 percento delle istituzioni scolastiche del paese e per le quali i genitori pagano rette fuori dalla portata dei più.

Per tentare di porre rimedio a questa situazione il Ministero della Pubblica Istruzione ha elaborato un piano di intervento che è stato presentato ieri, domenica 2 ottobre, in una delle province nelle quali lo sviluppo del sistema scolastico è particolarmente arretrato, l’Eastern Cape. Il piano, chiamato Accord on Basic Education e firmato lo scorso luglio dal Ministro Angie Motshekga, e dai rappresentanti del sindacato e del mondo imprenditoriale, ha come obiettivo proprio quello di migliorare la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento nelle scuole pubbliche del paese.

Il problema è che non sembra che il piano preveda impegni di spesa consistenti da parte del ministero, ma solo una sorta di ruolo di coordinamento tra sindacato, che si impegna a motivare i docenti, e impresa privata, che si impegna a elargire fondi nell’ambito della campagna Adopt a School (adotta una scuola), che è parte integrante del piano ministeriale. Insomma alle scuole pubbliche, in una prima fase 100 di esse, arriveranno le gentili donazioni del mondo dell’impresa, che verranno utilizzate soprattutto per interventi strutturali. Un sistema di finanziamento che non può che essere discontinuo e che di sicuro non rafforza l’idea dell’istruzione come diritto fondamentale, che invece Vavi ha celebrato nel proprio discorso.

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